Il Will del titolo è stavolta un genio. Un marginale della periferia a rischio di Boston che lucida i pavimenti del M.I.T., la massima università scientifica degli Stati Uniti; ma che risolve in un attimo i problemi di matematica più difficili, lasciati irrisolti sulle lavagne dagli studenti. Un nichilista, impossibilitato ad aprirsi al mondo, ad esprimere i propri sentimenti; uno che spreca il proprio talento giocherellando con la propria memoria fenomenale, citando a memoria ogni testo di letteratura, diritto o matematica. A cercare di salvarlo dai suoi guai con la giustizia, di rinunciare alla propria aggressività asociale, di convincerlo di dedicarsi alla ricerca scientifica ci penserà il professore di matematica Stellan Skarsgard (protagonista di BREAKING THE WAVES); e, soprattutto, lo psichiatra Robin Williams. Ben noto passepartout hollywoodiano in materia di comprensione super-umanistica e di untuoso sentimentalismo.

Ed è proprio per questa china buonista che scivola il film, finendo per non assomigliare per niente a quei prodotti anticonvenzionali ai quali il suo regista ci aveva abituato. Da un soggetto (opera dei due giovani protagonisti stessi) originale, si ritrova cosi in uno dei tanti schemi più risaputi che furbi: con lo psichiatra che guarisce il ribelle dalle pulsioni negative, il migliore amico che lo incoraggia ad abbandonare il cantiere edile per dedicarsi alla carriera, il professore di matematica che rinuncia ai propri sogni per permettergli di compiersi; e la fidanzata in fuga che per male che vada l'attende nella sempre accogliente California.

Peccato. Perché lo sguardo di Van Sant non si è perso (osservate con quale verità dirige i giovani), i dialoghi sono giusti e divertenti, gli attori perfetti. Primo fra tutti questo Matt Damon genio e sregolatezza che, con la sua presenza da giovane Brando darà del filo da torcere al titanico Leonardo che sapete.